Social network, quanto vi amano i musei
Urbino-Pesaro-Fano. «Che cosa fanno gli italiani per informasi sulla cultura? La maggior parte, l’80%, cerca informazioni su viaggi, turismo e cibo, il 74% fa ricerche sul patrimonio culturale e un + 9% rispetto al 2014 . L’argomento viene cercato. Tutti gli interventi fatti, a partire dalla riforma dei beni culturali del ministro Dario Franceschini, indicano che c’è stata una spinta verso il patrimonio culturale, c’è un investimento maggiore sulla sua comunicazione del patrimonio». Tra gli arazzi della spaziosissima Sala del Trono nel Palazzo Ducale di Urbino la docente universitaria Lella Mazzoli tira le somme della ricerca da lei diretta «Informazione e patrimonio culturale. Come si informano gli italiani; come si comunicano i musei». La studiosa snocciola percentuali e dati frutto di un’indagine telefonica su un campione di 1.007 persone aprendo ufficialmente il quinto Festival del giornalismo culturale che quest’anno si tiene in tre cittadine marchigiane: Urbino appunto, Pesaro (venerdì 13) e Fano (sabato 14 e domenica 15), e che lei coordina insieme al giornalista Rai Giorgio Zanchini (sotto il link al festival). Le classifiche sulle informazioni sui musei Presentando il festival ai media Lella Mazzoli aveva già osservato come tra i musei «c’è chi sa comunicare e chi è antiquato» (vedi il link sotto). Nella cittadina universitaria tra i colli la studiosa dirige l’Istituto per la formazione al giornalismo e il Laboratorio di ricerca sulla comunicazione avanzata (LaRiCA) dell’Università Carlo Bo, insegna Sociologia della comunicazione e Comunicazione d’impresa e adesso sfodera dati utilissimi per chi lavora in musei, siti archeologici, luoghi di cultura e chi fa giornalismo e comunicazione. «La tv continua a essere al secondo posto dei media utilizzati per informarsi sui musei (dopo materiali cartacei come dépliant, Ndr) e al primo di quelli desiderati; richiesta che non pare trovare grande corrispondenza nelle strategie comunicative dei musei che dichiarano di investire soprattutto sui social media per allargare il proprio pubblico», riporta la finestra su «Informazione sui musei fruita e desiderata». La classifica vede al terzo posto quotidiani e periodici, al quarto la pubblicità online, al quinto il sito web del museo, al sesto i portali tematici, al settimo il profilo social media dell’istituto stesso, all’ottavo la radio, al nono le newsletter. Gli italiani dove vorrebbero trovare informazioni sul patrimonio culturale? Nell’ordine dal primo al nono posto: tv, materiali cartacei, quotidiani e periodici, sito web del museo, portali tematici, radio (mezzo che conosce un diffuso gradimento), newsletter, pubblicità online, profilo social media. La radio, così amata Perché non puntare sulla televisione, ad esempio con spot? Il direttore della Galleria Nazionale delle Marche Peter Aufreiter , che ospita il convegno, tira fuori un argomento che convince e spazza via le obiezioni: andare in tv costa molto, troppo. Cui va aggiunto: per raggiungere nuovi visitatori, magari giovani, social media e web sono gli strumenti più efficaci. Anche la radio, sempre seguita. Commenta il direttore austriaco: «Quel ranking della radio è una grande sorpresa, mi piacciono gli spot radiofonici e nei prossimi anni voglio togliere annunci sui giornali e manifesti in strada perché è più piacevole se si sente la pubblicità quando sei in macchina». Il ruolo chiave dei social network Altro rilevamento di rilievo: quali sono i social media più usati per informarsi sui musei? Risultato: 28% Facebook (+ 7%); 15% Youtube; 9% Instagram (+ 4%); 8% Pinterest (+ 4%); 5% Twitter. Da studiosa, Lella Mazzoli interpreta il rilevamento: «I social media vengono usati di più per informarsi sui musei. Instagram sta avendo un buon successo nell’informazione culturale mentre gli italiani non usano twitter, è un social network di nicchia». E se rispetto al 2016 c’è un dato positivo, ovvero cala al 26% (-7%) la percentuale di chi non ha visitato un museo negli ultimi 12 mesi, acquista un ruolo cruciale pianificare come comunicare ai potenziali visitatori e a chi magari non desidera andarci perché non sa. Dal museo di Urbino al Salinas di Palermo «Credo occorra raggiungere nuovi pubblici, non un pubblico al singolare, ma bisogna usare strumenti diversi, rileva Lella Mazzoli davanti a un auditorio molto attento, Non si butta via niente ma gli intervistati raccontano che è importante una comunicazione integrata per esempio tra online e offline, bisogna coniugare questi due strumenti». È necessario però avere professionisti in grado di comunicare su più piattaforme: improvvisare come accade spesso non è più sufficiente. «Ho fatto un contratto con un’agenzia per gestire social e sito, manca la base, la struttura, e poi vedere il modo giusto di usarlo, cosa comunicare a chi, dove e quando», risponde indirettamente Aufreiter. Che chiosa: «Il visitatore oggi non è solo culturale. Come tutti noi quando andiamo a Madrid vogliamo anche mangiare, magari vedere il calcio… Facebook e Twitter si usano secondo me quando hai deciso che vuoi andare in quel museo. Le prime informazioni cercate per decidere non sono i social media. Certo, è diverso per la Galleria Borghese a Roma con i suoi milioni di abitanti e la Galleria Nazionale a Urbino con 15mila abitanti e 200mila visitatori l’anno. Gli stranieri che vengono in riviera non sanno nemmeno che Urbino esiste. Faccio indagini sui visitatori. Il 40% è “fai da te”, non in gruppi, viene per il passa parola, il 2-3% viene perché ne ha letto sul giornale, sulla stampa, un 30% già sa». Per l’archeologico «Salinas» di Palermo, ricordato come caso eccellente di un museo che ha appreso a comunicare tramite i social network quando ancora non aveva riaperto (al momento si può visitare il piano terra, non il primo e il secondo piano), Francesca Spataforache lo dirige illustra quanto hanno fatto: «Il nostro museo ha una sua autonomia. Con un collega abbiamo elaborato una strategia a costo zero, bisogna ingegnarsi, passando soprattutto attraverso i social media e Facebook per comunicare che abbiamo opere le quali raccontano storie che appartengono a tutti noi». Si torna lì: senza social media una raccolta d’arte oggi vive male; però occorrono strategie azzeccate, non lanciare messaggi a casaccio, anche perché il web è super affollato. 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